"Percy’s song" il malinconico e incantato graphic novel dell'artista Martina Rossi. La presentazione del volume a Roma il 18 ottobre
Di Anita Curci
Percy’s
song (edizioni
Phoenix Publishing) è il delicato e allo stesso tempo struggente graphic
novel realizzato dalla recanatese Martina Rossi, classe 1989, che con linee
morbide e tematiche dure, costruisce una storia che oscilla tra il rassicurante
motivo fiabesco e la crudezza delle propensioni umane.
Le
illustrazioni vivaci, dal tratto personalissimo, esaltano le tavole e forniscono
il calore necessario a calibrare i ritmi della vicenda del giovane e
malinconico Percy, che si sveglia improvvisamente in un mondo fatato e si trova
a combattere ogni giorno il male interiore che lo assilla. Un male inspiegabile
dato che di sé non ricorda il passato, né da dove venga.
Una
narrazione matura, profonda, ricca di spunti di riflessione, di passaggi
narrativi ben concepiti e coordinati tra loro, che recano intrinsecamente
tracce di un thriller intimistico che la matita dell’artista ha saputo degnamente
valorizzare e trarre in risalto in maniera armonica e delicata.
Il
volume sarà presentato a Roma, alla libreria Horafelix, il 18 ottobre 2019 alle
18.
Martina,
lei ha disegnato le tavole di Percy’s song, ma è anche l’ideatrice della
storia. A cosa si è ispirata?
Percy's song nasce dall’osservazione di un comportamento mediatico ricorrente. Quando muore qualcuno, siamo tutti ansiosi di condividere il nostro pensiero su quella persona. Improvvisamente sentiamo il bisogno di dire la nostra sul perché e il come quella persona sia morta, come si è comportata in vita. Come se ciò che abbiamo fatto da vivi, determinasse come meritiamo di morire. Diventiamo giudici privi di empatia che si riempiono la bocca di “doveva fare una fine simile”, “era solo questione di tempo”, “se ne è andato troppo presto”. Possiamo davvero permetterci la presunzione di sindacare gioia o dispiacere sulla morte di qualcuno?
Percy's song nasce dall’osservazione di un comportamento mediatico ricorrente. Quando muore qualcuno, siamo tutti ansiosi di condividere il nostro pensiero su quella persona. Improvvisamente sentiamo il bisogno di dire la nostra sul perché e il come quella persona sia morta, come si è comportata in vita. Come se ciò che abbiamo fatto da vivi, determinasse come meritiamo di morire. Diventiamo giudici privi di empatia che si riempiono la bocca di “doveva fare una fine simile”, “era solo questione di tempo”, “se ne è andato troppo presto”. Possiamo davvero permetterci la presunzione di sindacare gioia o dispiacere sulla morte di qualcuno?
Cosa
vuole trasmettere attraverso la vicenda di Percy?
Una
riflessione su due aspetti del nostro vivere che ci accompagnano da quando
nasciamo: “empatia” e “giudizio”. Fin da piccoli siamo costantemente sotto
giudizio, a partire dai nostri risultati scolastici, a quelli lavorativi, alle
nostre situazioni amorose. C’è sempre qualcuno pronto a dare il proprio parere
su come viviamo. Nonostante questo meccanismo condanni molto di noi a una vita
ricca d’ansia, di oppressione e di paura nei confronti degli occhi della
società, crescendo ci adattiamo a questo sistema e diventiamo anche noi, adulti
pronti a “recensire” le azioni degli altri. Ma la vera crescita non è nel saper
giudicare, quanto nell’imparare a provare empatia nei confronti degli altri e
delle loro scelte. Conoscere e comprendere chi si relaziona con noi, è il
miglior modo per fare un passo verso la maturità.
Percy
si trova improvvisamente proiettato in un mondo che si potrebbe definire incantato,
e sente di avere perso la memoria. Gli è concesso solo di guardare al futuro.
Indietro non può tornare e comunque il buio sul suo passato lo tormenta. Che significato
ha tutto questo?
Si
dice che il nostro passato determini le persone che siamo, ai nostri occhi e
agli occhi degli altri. Ci sembra di non conoscere davvero qualcuno, fin quando
non sappiamo tutto ciò che ha vissuto. È un tipo di conoscenza che ci permette
di capire come relazionarci alla persona con cui parliamo: se avere paura,
provare ammirazione, dare fiducia. In realtà questo meccanismo è indice di una
nostra mancanza di sicurezza e della voglia di creare un pregiudizio
confortevole, di dare un’identità. Ma questa identità si basa esclusivamente su
qualcosa che è stato, non necessariamente sul presente. Percy non riesce a dare
un’identità a se stesso, viene trascinato dagli eventi, ma non prende quasi mai
una posizione nella storia, perché è troppo concentrato a chiedersi: “come
avrebbe agito il Percy vivo e vegeto”? E se mettessimo da parte questo
comportamento e imparassimo nuovamente a fidarci un po’ più del nostro istinto
per guardare al futuro?
Il
tratto del disegno è delicato, i colori tenui, la storia è commovente, ma spietata.
Un contrasto che non passa inosservato. Ce ne parla?
È
un tipo di narrazione tipico delle fiabe: parlare di qualcosa di oscuro,
rendendolo però più confortevole. Credo che a volte, per raccontare qualcosa di
forte o che probabilmente genererà un disappunto nel lettore, sia importante
utilizzare una forma che lo metta a proprio agio, in condizione di ascoltare.
Se avessi creato fin da subito un contesto oscuro e angosciante, il lettore
sarebbe stato sulla difensiva fin dalla prima pagina, non prestando la giusta
attenzione al messaggio.
Quali
sono le difficoltà che ha incontrato durante la realizzazione dell’opera, se ve
ne sono state?
Vorrei
dire la scadenza! Per mesi non ho visto la luce del sole. Ma la parte davvero
difficile è stata leggere e rileggere ogni singola pagina, per capire se
davvero si stava creando un filo conduttore. Era la prima volta che scrivevo
una storia da sola, in genere mi occupo solo della parte grafica, ma lavoro
sulle sceneggiature di altri scrittori. Questa volta, se la storia non riesce a
comunicare il giusto messaggio, non avrò nessun altro da incolpare.
E
il momento più bello?
Quando
ho visto le prime prove di stampa. Credo sia stato il momento in cui ho
realizzato che Percy esisteva davvero. Non più solo nella mia mente.
Come
si realizza un graphic novel come il suo? Quali sono i primi passi?
A
questa domanda risponderò tra molti anni credo. È la prima volta che scrivo una
storia in cui devo occuparmi di tutto da sola: dallo script al lettering. Ho
provato a schematizzare il lavoro, partendo da un’idea molto generica e andando
a definire pian piano i dettagli. Leggendo e rileggendo, confrontando Percy con
altri fumetti, studiando il modo di creare di fumettisti affermati. Per ora,
sto solo cercando di lavorare nel modo più corretto e fluido possibile, ma la
strada è lunga ancora.
Percy’s song avrà un seguito? E se sì, ci anticipa
qualcosa?
No.
Percy’s song, è un’opera autoconclusiva. Percy è solo un tramite per
indurci qualche spunto di riflessione. Dargli un seguito spetta al lettore.
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