Alessandro Balletta, con Enrico V di W. Shakespeare, è “artista di se stesso” (Hegel)
Alessandro Balletta, nasce nei pressi di Nola, acquisisce la Maturità Classica. A 16 anni debutta al Mercadante, prima di iscriversi all’Accademia di Recitazione del Teatro Stabile di Napoli, dove dopo tre anni si diploma. Frequenta un Corso di Dizione e Sviluppo della voce con il Demiurgo s.r.l.s. Dal 2013 è parte attiva del nucleo de “Il Demiurgo”
-Alessandro che bambino sei stato?
Un bimbo strano ed irrequieto. A soli tre anni posso dire di avere avuto il mio primo debutto, recitando “Mammà” di Salvatore di Giacomo, in vernacolo.
-L’attore, quando hai deciso di fare questa scelta?
In realtà ho maturato la possibilità di fare l’attore un po’ alla volta. Avendo un papà carabiniere volevo seguire le sue orme. Il mio mito era il Maresciallo Rocca che credevo un personaggio reale. Quando ho scoperto che si trattava di finzione ho ricevuto una grande delusione. Avevo solo cinque anni quando ho capito che il nulla poteva diventare altro. È stata la musica, ho imparato a suonare la chitarra, che mi ha condotto fino al Teatro.
-Nel tuo percorso di formazione artistica ti sei
mai sentito demoralizzato fino al punto di rinunciare?
Si certo, quando le aspettative non corrispondevano ai fatti.
-Cosa ti ha lasciato poter studiare con Mariano
Rigillo?
Mariano Rigillo fa bene al Teatro. Penso a lui come ad uno degli ultimi eredi della mattatorialità. Voglio anche ricordare due splendide persone con le quali mi sono formato, Eros Spagni e Manila Spagni.
-Quanta conoscenza dell’essere umano ti regala
questo lavoro?
In realtà fare l’attore ti permette di indagare
sull’essere umano. Ti regala una grande opportunità.
-Far coincidere la propria passione con il proprio
lavoro cosa ti consente?
Di poter lavorare divertendomi.
-Il personaggio che hai interpretato a cui sei più
legato?
Ce ne sono vari, ma Cyrano de Bergerac ha rappresentato una svolta nella mia vita attoriale e personale, infatti durante la rappresentazione ho conosciuto Annarita Trevisi, con la quale dopo un anno sono andato a convivere. Oggi è il mio punto di riferimento.
-Parliamo del tuo ultimo lavoro l’Enrico V di W.
Shakespeare. Come si sente un attore dopo aver portato in scena con successo un
personaggio a molti sconosciuto?
Prima di entrare in scena c’è tanta adrenalina, poi hai chiarezza della situazione, infine quando il tuo respiro diventa un solo respiro con il pubblico sei felice e puoi finalmente divertirti.
-Si parla di onore in Enrico V, pensi che sia una
parola desueta?
Penso che l’onore si rifà all’orgoglio. Io preferisco parlare di dignità e di rispetto che ritengo i valori più importanti.ì
-Un uomo, ancora oggi, può essere definito
valoroso?
Sì, quando è coerente e non scende a compromessi.
-In conclusione, cosa auguri in futuro al Teatro?
Ora divento provocatorio… Vorrei che il Teatro non
ricevesse più sovvenzioni, vorrei una autonomia economica che sproni a fare.
Laura Bufano
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