RENATO MARINI - “dipingere l'aria”
Castello Svevo di Termoli (CB) dal 18 al 30 giugno 2022
settimopiano_ALIA ringrazia i soci che hanno sostenuto in
vario modo l'iniziativa, il Comune di Termoli per gli spazi del Castello, i
critici che hanno donato le loro parole.
Per maggiori informazioni: settimopiano.porsia@gmail.com
| +39 328 68 26 021
NELLE PROSSIME PAGINE: I TESTI CRITICI
DI MAURIZIO VITIELLO, LARA DE LENA E MICHELE PORSIA. POSSONO ESSERE UTILIZZATI
LIBERAMENTEI CITANDO L'AUTORE
Astrazioni e ritorni tra luci e ombre nella produzione di Renato
Marini
Renato Marini con le sue avvedute e morbide stesure accende un’attenzione corretta, educata verso i paesaggi della sua terra e nella parabola descrittiva di ritorni sottolinea ricordi e rinvigorisce un amore concreto, stabile e, oggi, confortante verso le sue oneste radici.
I
suoi paesaggi sono da leggere “in filigrana”, oltre a essere una credibile
decalcomania della realtà.
Nella
riconquista del paesaggio rammenta panorami insoliti, scenari peculiari,
prospettive con visioni d’astrazione.
I richiami astratti dai
respiri della Terra nell’ultima produzione di Renato Marini ci confortano e ci
stimolano delle considerazioni.
In un giro panoramico sull’arte
italiana captiamo che ci sono regioni che presentano fior di artisti e hanno
collegamenti continui con Roma, e qui parliamo dell’Abruzzo, ma non manca di
comparire il Molise, piccola terra anch’essa di forte creatività, seppur non
molto conosciuta e non apprezzata per il ramo del contemporaneo, che, comunque,
esprime, da tempo.
E’ fuori discussione, però,
che Milano sia stata ed è l’ombelico che fluidifica la dinamica vettoriale del
mercato dell’arte contemporanea tra Italia ed Europa.
E, allora, focalizziamo il
nostro interesse sulla recente operosità artistica di un bravissimo autore, che
risponde al nome di Renato Marini.
L’attività di Renato Marini
è stata sempre interessante e ora si dimostra sempre più singolare e
accattivante.
L’artista che per un lungo
periodo è entrato nell’anima dell’astrazione e ha creato nuove spazialità, ben
contenendo respiri di campiture, seppur racchiuse in ambiti articolati, non
dimentica il suo territorio.
La sua forte e decisa
passione era convogliata in una ricerca pittorica avanzata in cui trasferiva
pulsazioni esistenziali, intriganti “fuochi” emotivi, impreviste fisicità
intraprendenti.
Renato Marini con autorevole
e potente slancio ha percorso le vie larghe e strette dell’aniconismo e le sue astrazioni
si staccavano dall’abituale e consueto fronte comune e si stagliavano su
posizioni elevate e orizzonti alti.
La sua corrente astratta si
scioglieva, tra assunti di paradigmi e segni ben precisi, e riusciva a
dimensionare profilati vertici.
La sua identità artistica è,
oggi, cambiata, sempre in chiarissima fattura, perché la sua linea creativa
racconta non più concetti razionali, ma si coniuga nella pittura d’ampio
spettro intimista, con aliti figurativi d’impalpabile impatto.
Nella convinzione che
esistono punti d’incontro dialettici, fonde elementi linguistici e stilistici,
che consentono di guadagnare un’evoluzione elegantissima, concretamente
figurativa con sospensioni astratte.
Regolatissimi piani
geometrici e calibratissime consonanze cromatiche, fronti equilibrati e
ragionevoli, segni acutamente abbreviati, scorciate visioni e segmenti spezzati
di campi, bagliori di luci e profondità luministiche fanno sì che lo spazio
motivato della natura accolga, in parallelo, impulsi emotivi e psicologici,
sintesi tra variegate difficoltà e gioia di vivere, nonché relazioni e riporti
tra materia e spirito, ricordi alterni e umori diversi tra memoria del passato,
che ha la sua forte incidenza, e assicurazione del presente, in continua
mutazione.
Emerge, quindi, l’assunzione
di una felice e rapida figurazione, tutta trasportata come fosse una palpabile
astrazione di caratura poetica, con tratti, anche, appassionati, idilliaci,
lirici e scanditi dettati energetici, che regolano certezze di una dimensione
umana, tutta da recuperare, da far rimbalzare come rinnovo dell’animo.
Insomma, Renato Marini, da
saggio artista, esprime una frazionata land art ripresa in piccolo, che
diventa fascia descrittiva e nastro propositivo; difatti, la sua redazione
assicura alle ultime opere leggerezze cromatiche convincenti, perché sia più
accorto il senso tattile e più profondo il gioco di atmosfere, ma non manca il
fraseggio delle trasparenze, che attraversa corporeità rilevabili, nettamente
esistenti e realmente incidenti.
Il suo procedere con estrema
cautela favorisce la consistente assunzione, volutamente lirica, di impianti
geometrici, da cui ricava la tendenziale idea di misurare e dimensionare lo
spazio-ambiente, ma, anche, di interpretarlo, pienamente, sino a possederlo e,
alla fine, descriverlo e desumerlo nelle significazioni concretamente segniche
e nelle variegate segmentazioni pluridimensionali.
Si leggono, in filigrana,
dettagliate plastiche e sillabazioni figurative, che manifestano e segnalano
vitali rispecchiamenti esistenziali.
Anche vere campiture si
stagliano e situano rilievi di pensiero.
Si nota che l’artista
precisa la rilevanza dei piani geometrici delle coltivazioni, tutti
manifestamente prodotti da concentrate dinamiche operative di un’agricoltura in
ripresa.
La narrazione equilibrata
rispecchia motivati bilanciamenti, attese temporali, tra tempi primaverili,
estivi, autunnali e invernali, acuti varchi di rispondenze umane.
Il suo immaginario s’eleva
su controllatissimi sentieri, dettati da una pregevole sensibilità; difatti, le
sue dimensioni visive colgono in estensioni regolatissime, piene e convinte,
frontiere di coscienziosi e dettagliati percorsi.
Una lettura d’impatto ci
permette di cogliere cromatismi ben dosati, quotati per una soluzione di trasparenze,
inserita in una declinazione incredibilmente eletta e, così, si captano rese
quotidiane, che si pronunciano verso intese future, perché si nota che c’è
voglia da parte dell’artista di conquistare lo spazio, di dimensionarlo e
d’invaderlo per offrire su una frontiera di evoluzioni una stagione di regolate
attenzioni su sensazioni massime.
Quest’accorta, costante
tensione misura, essenzialmente, lo spazio e manifesta una tacita frenesia di
oculate disamine delle attualità circostanti.
In una rete di elaborazioni
pragmatiche elementi naturali rigogliosi ed effervescenze segnaletiche di moti
e motivi di ricalco astratto-geometrico, pienamente sottesi, sorvegliati e
vigili coordinamenti, accurate ed eleganti estroflessioni e lampanti ed
esplicite profonde prese di coscienza visiva corroborano sedimentazioni
d’atmosfere, ricche di preziosismi figurali.
Si combinano, quindi, quei
gorgoglii e quelle vivacità e vitalità che appartengono al mondo della natura,
amministrata dalla mano dell’uomo, quanto quelle percezioni di sintesi, di
estrema ragionevolezza astratta.
Il concreto figurale si
abbina al concreto astratto e lo si avverte da scritture magistralmente
incurvate in una preziosa de-tessitura; si va dallo sfarinamento delle
figurazioni sino alla smembratura e al dissolvimento per afferrare semi
linguistici astratti.
Il “focus” dell’azione
pittorica di Renato Marini rinforza visioni consistenti, affondi di materia,
elaborazioni di appunti, squarci di luci, che, così, ci permettono di cogliere
significative abilità.
Sottili rimandi
segnico-geometrici e temperanze cromatiche indagano le strutture di una
geometria libera e della visione del mondo e determinano moltiplicate
vibrazioni e situati tagli.
In questa modulazione di
assetti neo-geometrici e di rarefazioni astratte si manifestano essenziali
equilibri tra la relazione di una forma data e lo spazio.
Con motivata, calma e
coerente autorità artistica, assicura alle sue opere un preciso universo
pittorico, tradotto e prodotto da un lavoro, intelligente e metodico, in cui
l'intima dialettica indica la comprensibile preoccupazione di affermare come la
pittura possa risultare ancora una legittima ed elevata comunicazione, non
superata, sino a oggi, nel procurare profonde emozioni estetiche e, comunque,
in netta sintonia con l'arte aggiornatissima dei nostri tempi, tra crisi e
avanzamenti.
L'attuale pittura di Renato
Marini, tutta motivata, da ripensamenti figurali, si presenta ancor più
interessante, compatta e accattivante e il senso della realtà presiede gli
scenari che il suo pennello, ormai esperto e convinto, edifica.
Paesaggi e sveglie visioni
d'insieme, scenografie pulite guadagnano lo spazio della tela e sempre più la
mano di Renato Marini conquista trame di panorami veri, ma anche ideali e anche
immaginati e da questi impatti emergono realismi capienti, ma anche visioni
sospese tra sogni ed emozioni, tra filigrane ottiche e soprassalti visivi;
insomma, si potrebbe parlare di realismo oggettivo, in parte, e, d’altro canto,
di realismo magico, sulfureo, invitante e incantato.
Maurizio Vitiello
Forse un mattino andando in un’aria di
vetro
La tendenza all’acromia è una costante nel lavoro di Renato Marini. Non che i colori non esistano e che non si percepisca attenzione nei loro confronti: gli ocra, gli azzurri e i grigi dei suoi acquerelli piuttosto si rivestono di pulviscolo atmosferico, si opacizzano. Attraverso una formula cara alla poetica della ‘macchia’ tra luce e colore (da cui ha origine la pittura moderna, tra post-impressionismo e pointillisme) nelle opere presenti in mostra vediamo una natura che si isola dentro un silenzio contemplativo, mostrandosi agli occhi di chi la guarda con delicata ritrosia.
Nella leggenda narrata in Senza
colori – racconto delle Cosmicomiche di Italo Calvino – la terra,
come la luna, nasce priva di colori, portati poi casualmente un giorno per
mezzo di uno strato gassoso che inizia a formarsi sulla terra, dando una nuova
connotazione alle cose, un nuovo modo per codificarle e raccontarle. E se ho
ricordato questa storia è perché ogni volta che incontro le opere di Marini a
una mostra o sfogliando uno dei cataloghi a lui dedicati, ho come la sensazione
che i suoi paesaggi campestri siano protetti da una sorta di ‘aria di vetro’
come quella di cui Eugenio Montale parla nella sua lirica, il cui ricordo mi
riaffiora osservando le onde leggere dei suoi campi e gli alberi a piccole
macchie quasi trasparenti.
Secondo la filosofia dell’esse est
percipi, il ‘regno dell’essere’ ovvero quello che può essere investigato
attraverso i sensi, è diviso dal mondo retrostante, il ‘regno del non essere’,
quello a cui si dà le spalle, che sfugge all’occhio. I due regni sono
inconciliabili. Tuttavia, colui che si volta – come raccontato nelle due
quartine di Ossi di seppia – fa si che questo sistema possa essere
infranto («rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo»). Guardare in faccia il
nulla e dargli forma, consistenza e colore permette di guardare oltre il
visibile. Anche Marini come il poeta usa questa sorta di specchietto
retrovisore, fermando sulla tela e sulla carta da oltre quarant’anni frammenti
di spazi senza tempo, realtà che appartengono, più che al reale, al sogno e al
ricordo, quello più intimo e più caro. «Sono nato in campagna, i miei genitori
erano contadini, quindi il mio mondo era questo. Sono stato a stretto contatto con gli
animali, con la mia campagna, con i miei alberi, con le mie colline, con le mie
farfalle, con i miei uccelli. Cerco sempre di ricordarmelo con le mie opere» –
racconta l’artista molisano a Maurizio Vitiello in un’intervista di circa un
anno e mezzo fa. Come ha osservato Guido Montana nel 1987 nel testo a lui
dedicato per la mostra vastese “Il labile pittorico”, Renato Marini sente
‘otticamente’ il paesaggio, ha una visione naturale ed evanescente che non
necessariamente si allinea alla logica del contingente ma che piuttosto attinge
all’eterno topos della memoria, che nel suo caso è legata alle proprie
radici antropologiche.
E quest’aria di vetro che sembra
togliere visibilità all’immagine in realtà la accentua. È una visibilità altra,
una visione dall’opaco, una chiusura delle palpebre che diventa una messa a
fuoco dei concetti chiave, quelli che per lui sono veramente importanti. Agendo
per sottrazione, l’artista viaggia verso un grado zero dell’espressione
artistica, come a voler seguire il poeta Luigi Plescia, suo (nostro)
conterraneo, quando in Consigli di un poeta dice “Leggere, leggere i
poeti quando ancora le pareti sono bianche”.
Lara De Lena
Il
paesaggio molisano visto attraverso la pittura di Renato Marini
pere, mele, stagioni, cielo, niente,
soltanto suppellettili, una campagna
fatta ad artificio. Ma già da piccolo
per gioco stendevo una coperta.
Va ricordato che storicamente il paesaggio si emancipa dalla funzione di sfondo nel Cinquecento con Tiziano Vecellio a cui è attribuita peraltro la prima attestazione scritta della parola paesaggio per indicare un suo dipinto. Questo soggetto arriva a noi dopo l'esperienza immersiva dell'Impressionismo e dell'Espressionismo, ma il paesaggio in Marini non è rappresentato: è trasfigurato in immagine mentale che resta sul confine tra memoria e dimenticanza. In queste opere il paesaggio vive la sua complessità, ma, attraverso un processo mnesico-mentale, sono selezionati i suoi elementi essenziali. Il paesaggio è ridotto ai minimi termini, tanto da determinate una poetica della «forma parageometrica spaziale» come l'ha definita Leo Strozzieri (1994) in un intenso testo critico dedicato all'artista. La pittura di Marini resta sul confine tra figurazione e astrazione. Marini mette avverte gli abitanti molisani: diluendo ulteriormente il colore non resterebbe nulla: un paesaggio che resta è sull'orlo della sparizione. Dal Novecento, in ambito artistico, si ha spesso l'abitudine di trovare interessanti i percorsi di rottura e di chiamare arte contemporanea quella d'avanguardia; talvolta una stressante ossessione per l'innovazione guida le scelte di molti curatori e critici trascurando una folta schiera di artisti che non hanno mai abbandonato la strada tradizionale dell'arte, totalmente disinteressati alle facili provocazioni e alla sorpresa.
Renato Marini cerca in un modo del tutto
personale e nuovo di riallacciare nodi con la storia della pittura legando la
sua ricerca a quella dei grandi Maestri. Lavora per contrappunto al main
stream avanguardista. Questa scelta ridefinendo “uno spazio circoscritto,
ma sicuro” (Guido Montana, 1987) dalla forte potenzialità terapeutica, utile
oggi per affrontare il periodo storico di grandi cambiamenti che stiamo
vivendo.
Marini è a mio giudizio l'artista
contemporaneo che in ambito pittorico interpreta meglio il paesaggio culturale
molisano esprimendo « (…) a chiarissime lettere l'amore (…) per il paesaggio
della sua terra d'origine» (Leo Strozzieri, 1994): una terra paterna.
L'artista, molto legato alla figura del padre contadino, ha anche dedicato a
quest'ultimo una mostra e una poesia.
Il paesaggio è per l'artista una
costruzione mentale come è espresso magistralmente nei versi di Valerio
Magrelli che ho posto in esergo. Non è inteso dunque come belvedere, ma
nell'accezione costruttivista espressa bene nel primo articolo della
Convenzione Europea del Paesaggio: « (…) an area as percived by the people». La
percezione è un fatto complesso perché in essa si mischiano, in un'unico
processo mentale, dati sensibili, emozioni, filtri culturali ed elaborazioni di
esperienze personali. Inoltre la percezione non è una qualità statica, ma una
capacità-competenza affinabile soprattutto attraverso l'esperienza estetica. La
percezione diventa ancora più complessa se riferita al paesaggio che come ha
scritto Quaini è un «poliedro di enigmi e complicazioni» (Quaini, 2006).
Vorrei precisare che l'operazione di
Marini non è idealizzante, ma progettuale e contempla una pacifica militanza.
Il suo engagement con Il Centro Culturale il Campo ne sono la prova
concreta. L'abbandono del paesaggio agrario è una delle criticità italiane che
comporta non solo la cancellazione dei segni e una perdita di qualità
paesaggistica, ma anche, ad esempio un aumento del rischio idrogeologico.
L'artista
ha dato molto al territorio attraverso un attivismo culturale costante
dirigendo Il Campo che a Campomarino (CB) ha ospitato artisti di fama internazionale
come Christo, Kodra, Treccani, Carboni, Pace, Saquella, Hugo. Ha speso energie
e tempo per una semina culturale su un terreno 'sassoso'.
Come ha messo in evidenza Andrea
Zanzotto (2000), nel video di Carlo Mazzacurati e Marco Paolini, spesso nel
nostro campo percettivo appaiono di colpo, ferendoci, elementi detrattori di
valore paesaggistico: l'artista indica una strada progettuale, il ritorno alla
terra come retroinnovazione e suggerisce “la pratica del togliere” in un Paese
che fa difficoltà a demolire i propri relitti, a risemantizzare e a
riqualificare i luoghi. A produrre nuovi paesaggi.
Il paesaggio molisano se ha una qualità,
essa deriva, come ha espresso Lina Pietravalle, da una atavica ritrosia verso
l'innovazione e il cambiamento in genere. «Il Molise (…) ha l’onore di essere di codesti paesi
elementari, rozzi» dice la scrittrice «(…) è rimasto impenetrabile, asciutto
come le argentee selci di cui son fatti i suoi focolari e le sue case, e d’una
indifferenza superba, l’indifferenza del solitario d’origine che si astrae
sempre anche se càpita in mezzo ad un baccanale» (Pietravalle, 2011) la festa
del boom economico che ha purtroppo segnato irreversibilmente molti paesaggi
italiani.
Quello che in un'ottica positivista
poteva essere letto come un limite, oggi è il carattere identitario su cui può
crescere un marketing territoriale integrato proprio dalla ricerca
artistica come è già avvenuto -ad esempio- in regioni come la Provenza o la
valle del Reno. Il video Immaginare il Molise (2015) da me diretto e
prodotto dall'Università del Molise per Expo2015 è nato proprio da queste
considerazioni. A mio avviso alcuni paesaggi potrebbero portare alla mente la
ricerca di Virgilio Guidi, ma sebbene possa esserci un'affinità, sarebbe un
errore accostare le due ricerche: per Guidi è la nebbia a determinare l'uso dei
mezzi toni per i suoi soggetti brumosi. I paesaggi di Marini sono invece sovraesposti,
cancellati da una luce abbagliante. Se c'è una foschia è quella che scende di
sera dopo un giorno assolato o risiede negli occhi stanchi di chi guarda il suo
ambiente di vita dopo una giornata di duro lavoro. Così Marini crea una sorta
di camera di allucinazione che fortunatamente impedisce una deriva descrittiva
e che apre ad una visione onirica che a mio avviso lo accosta a Jean-Michel
Folon.
Attraverso campiture di non colore,
Marini riesce a creare un campo d'azione per trascrivere il ritmo lento
della cultura agricola in cui l'attesa
gioca un ruolo determinante.
Le opere sono partiture in cui la superficie
di fondo è resa docile per accogliere il segno come il contadino fa con la sua
terra prima della semina. È l'osservatore a far crescere, da una benevola
macchia: l'albero -spesso piegato dal vento un movimento d'aria- i vigneti o i
campi arati che cercano un punto di fuga convogliando lo sguardo su un
orizzonte dissolto.
La
pittura di Marini è caratterizzata da un uso del colore diluito che ricorda,
come messo in evidenza da Leo Srozzieri (1994) le opere di Antonio Calderara e
determina una espressività elegante e discreta, che rende le opere intimistiche
e meditative. Molti critici hanno accostato alcuni aspetti della pittura di
Marini ad artisti storicizzati, ma mi pare nessuno abbia fin ora considerato il
carattere 'atmosferico', una ricerca già espressa nel De Pictura di
Leonardo da Vinci.
Questo aspetto è ben espresso dal titolo
che ho scelto per questa mostra: dipingere l'aria, un'espressione usata
in un fervido testo critico di Achille Pace.
Nella
serie di opere ritorni, prodotta principalmente durante il lockdown
causato dalla pandemia covid-19, riappare sulla tela la specie umana.
Personaggi ieratici e di spalle osservano il paesaggio.
L'artista afferma che rappresentano
ricordi di un'infanzia agreste, il ritorno dopo una giornata di lavoro.
Ma io credo che almeno inconsciamente
rappresentino l'epilogo epico del fenomeno storicizzato dell'emigrazione che
spopola di anno in anno il paesaggio, abbandonando i territori agricoli. C'è il
sentimento di chi vuole tornare alla sua haimat.
(E qualcuno è già tornato per
trascorrere nella sua terra d'origine il periodo di isolamento dovuto alla
pandemia ed ha deciso di restare rideterminando la propria esistenza. Forse
qualcuno sta tornado).
Michele Porsia
Biografia.
Renato Marini nato a Larino nel 1955,
vive e opera a Campomarino (CB). Ha iniziato la sua attività artistica nella
metà degli anni settanta. Nel 1990 ha fondato, con un entusiasmo condiviso da
un gruppo di amici tra cui Achille Pace, il Centro Culturale il Campo (CCC) che
purtroppo ha chiuso i battenti nel 2012. Come operatore culturale e Direttore
Artistico del Campo ha organizzato eventi artistici di rilievo nazionale e
internazionale. Indimenticabili la mostra omaggio a Christo e Jeanne Claude in
occasione del ventennale dalla fondazione del Centro, la rassegna di Mail Art
con 360 artisti provenienti da tutto il mondo e mostre personali di diversi
artisti di spicco.
Ha partecipato su invito a diverse
esposizioni tra le quali: la 52a Biennale Internazionale d'arte di Venezia per
gli eventi collaterali "Omaggio a Pierre Restany", il Premio Sulmona (nel 2001 premiato con
targa d'argento), il Premio Termoli, il Premio G. B. Salvi, il Premio
Internazionale Valle Roveto, il Premio Flash Art, Prospettive del Terzo Millennio,
il premio Museo Maca di Acri (secondo premio), la Biennale Internazionale
d'Arte della Calabria. Le esposizioni personali più prestigiose sono state
"Lux Ludus" presso la Galleria Civica di Termoli, Palazzo Farnese di
Ortona, Galleria Vicoloquartirolo di Bologna, Centro Culturale il Campo,
Saletta d'arte Filippo Palizzi di Vasto.
Le sue opere sono conservate in diversi
Musei: MACTE di Termoli, Pinacoteca Internazionale Francescana delle Marche,
Pinacoteca d'Arte Moderna di Avezzano, Museo Internazionale dell'immagine
postale di Belvedere Ostrense (AN),
Museo Civico di Larino (CB), M.I.A.C. Museo d'arte Contemporanea Irpino
di Vallata (AV), Museo Internazionale dell'immagine di Mail Art de L'Aquila.
Diversi critici, artisti e
storici dell'arte hanno scritto della sua ricerca pittorica tra i quali: Eolo
Costi, Lara De Lena, Lucio Del Gobbo, Giorgio Di Genova, Tommaso Evangelista,
Enzo Le Pera, Ursula Manes, Alessandro Masi, Guido Montana, Salvatore Motta,
Raffaele Nigro, Hugo Orlando, Achille Pace, Antonio Picariello, Michele
Porsia, Vittorio Sgarbi, Leo Strozzieri,
Maurizio Vitiello.
Commenti
Posta un commento