Intervista al bravo artista Ernesto Terlizzi

Intervista al bravo artista Ernesto Terlizzi

Servizio del sociologo e critico d’arte Maurizio Vitiello

Ernesto Terlizzi nasce ad Angri (Sa) nel 1949, dove tuttora vive e opera. Ha frequentato gli studi presso il Liceo Artistico e il corso di Pittura all’Accademia Belle Arti di Napoli. La sua ricerca, pur spaziando attraverso varie discipline, è da sempre caratterizzata dalla costante presenza del segno grafico, che l’artista salda, continuamente, con i diversi materiali utilizzati nel corso della sua lunga ricerca, in un continuo dialogo in cui ordine e disordine, rigore e libertà del gesto, segno e materia, si scontrano e incontrano in una continua esaltazione della materia. Così facendo, l’autore definisce un suo personale stile grazie a intelligenti espedienti tattili, segni e fenditure astratte tese sempre più a coniugare il manuale con il mentale, la pratica dell’arte e la teoria a essa dedicata in un processo di destrutturazione della realtà. Una realtà assiduamente riproposta in una sorta di personale trasfigurazione dell’uomo e della natura attraverso un linguaggio immaginario denso di rimandi e allusioni. Ha tenuto mostre tra personal, premi e rassegne varie un po’ su tutto il territorio nazionale con punte anche in ambito europeo. Molti sono i critici e intellettuali che hanno scritto delle sue opere inserite in numerose collezioni private e pubbliche tra cui: Museo d’Arte moderna Durazzo, Albania: Museo d’arte contemporaneo, Ripe San Ginesio (Mc); Consolato Venezuelano, Napoli;  FRAC Museo d’Arte Contemporaneo, Baronissi (Sa)  Pinacoteca e Musei Comunali, Macerata; MACTE, Museo d’Arte contemporanea, Termoli; Museo delle Generazioni Italiane del 900, Anni Quaranta, Pieve di Cento (Bo); CAM, ArtMuseumContemporary, Casoria (Na); MAM, Museo d’Arte Contemporanea, Gazoldo degli Ippoliti (Mn); MUMI, Museo Michetti, Francavilla al Mare (Ch); Museo dell’Università, Chieti.

D – Puoi segnalare il tuo percorso di studi?

R – Ho frequentato agl’inizi degli anni ‘60 a Napoli il Liceo artistico e, poi, Pittura presso la locale Accademia di Belle Arti, in via Costantinopoli.

D – Puoi raccontare i desideri iniziali che nutrivi?

R – Come tutti penso, anch’io dall’inizio ho sempre nutrito il desiderio di diventare un discreto artista serio e di una certa qualità. Non più di tanto. 

D – Puoi precisare i sentieri che avevi intenzione di seguire e i percorsi che hai realmente seguito?

R – Sapevo che la strada era impervia e irta di problemi, al di là delle capacità tecniche che erano solo una parte dei fondamentali per raggiungere certi obiettivi. Il percorso che ho seguito subito è stato lo studio della storia dell’arte, specie il passaggio dall’800 al ‘900 con le avanguardie, la differenza tra linguaggio iconico e aniconico, il ruolo del collage che ancora oggi, con il suo suggestivo apporto, sta ancora dando tanto nel contemporaneo. In tutto questo, ho approfondito la funzione del segno, del disegno da un lato e dell’indagine sulla materia dall’altro con l’utilizzo continuo di materiali diversi in una nuova sorta di polimaterismo contemporaneo.

D – Quando è iniziata la voglia di “produrre arte”?

R – Dall’inizio degli studi napoletani, da quando cominciai a conoscere e frequentare diversi artisti locali che ruotavano intorno all’Accademia e dai quali apprendevo sempre più insegnamenti e suggerimenti interessanti.

D – Quali piste di maestri hai seguito?

R – Guarda, penso che la mia fortuna sia stata proprio quella di essere stato un allievo un po’ di tutti i maestri napoletani di quel tempo: da Di Ruggiero, a Pisani e De Stefano al liceo e, poi, all’Accademia Brancaccio, Spinosa e Del Vecchio. Era quello a metà degli anni ‘60, un momento di transizione per la Cattedra di Pittura, per cui avendo avuti come docenti un po’ tutti, ho cercato di acquisire qualcosa da ciascuno di loro. L’indagine figurale da De Stefano, il recupero pop da Pisani, l’irruenza della materia da Spinosa e questo mi ha, di certo, aiutato a non cadere, mai, nella totale influenza linguistica di un maestro in particolare, ma di costruire attraverso queste pluralità espressive, che mi attraevano, una mia ricerca da percorrere con intelligenza e curiosità. Ma la strada è stata lunga dove, poi, ho incontrato, altri amori nazionali, come Porzano, Burri, Rotella e altri che mi hanno consentito di precisare sempre più una mia cifra personale.

D – Mi puoi indicare gli artisti bravi che hai conosciuto e con cui hai operato, eventualmente “a due mani”?

R – Si, da Tadini a Pace, Margonari, Bertocci, Donzelli, Pirozzi, Galliani, Lim e tanti altri. Artisti che non solo ho conosciuto personalmente, ma che, poi, ho anche invitato a diverse mostre che ho curato durante la mia attività ed hanno, tutti, anche sempre partecipato.  

D – Quali sono le personali da ricordare e i temi che hai trattato, di volta in volta?

R – Ho tenuto mostre personali un po’ su tutto il territorio nazionale e non solo, ma provo a sintetizzare. Nel 1975 quella di Perugia nel Palazzo dei Priori in cui trattai la condizione dell’”uomo del Sud” con testo dello scrittore Mario Pomilio, poi nel 1980 alla San Carlo di Napoli di Raffaele Formisano dove presentai il “De Rerum Natura” presentato da Marcello Venturoli. Una natura che mi ha sempre intrigato, affascinato e che trattai anche nella mostra del 1991 a Macerata presso la Pinacoteca e Musei Comunali: ”Nel Battito della Natura” con testo di Massimo Bignardi, periodo in cui pubblicai anche insieme ad Ada patrizia Fiorillo e lo stesso Bignardi la mia prima pubblicazione.  E, poi, ancora le mostre sulla condizione dei profughi e il Mediterraneo nelle personali di Milano e di Roma: a Milano allo “Spazio Tadini” con testi di Melina Scalise, Francesco Tadini (figlio di Emilio) e Antonello Tolve “Apologia della superficie” e a Roma allo “StudioS” di Carmine Siniscalco con testo a sua firma “Pittura /Collages”. Infine, ancora le personali di Matera e Cracovia presso l’Istituto Italiano di Cultura con la mostra “Fiori di terra e di fuoco” e testo di Lorenzo Canova imperniata tutta sulla tematica ambientale della terra dei fuochi. E per finire, nel 2019, l’omaggio a Matera Capitale Europea della cultura con la mostra “Matheriae”, presentata in catalogo dallo storico romano Alberto Dambruoso.

D – Dentro c’è la tua percezione del mondo, forse, ma quanto e perché?

R – Penso che in tutto il mio lavoro cerco, se mi riesce, di trasmettere sempre una certa percezione del mondo, di un mondo devastato dall’uomo, di una natura ormai sempre più succuba della violenza umana, ma alla fine, anche sempre carnefice, visto tutto ciò che sta accadendo nel mondo. L’arte serve, soprattutto, a questo. Certo non a risolvere tali problemi, ma, sicuramente, per tenere accesa, sempre viva, quella spia che serve a far capire in che direzione stiamo andando.

D - Ora, puoi specificare, segnalare e motivare la gestazione e l’esito delle esposizioni, tra collettive e rassegne importanti, a cui hai partecipato?

R - È complicato specificare le mostre tra collettive, premi e quant’altro dal momento che sono tante, posso, però, segnalare di essere stato invitato un po’ a tutti i premi italiani, e anche più volte. Purtroppo, premi che ora non esistono più, tranne qualcuno. Dal Michetti di Francavilla al Mare, al Termoli, al Sulmona e, poi, alla 54^ Biennale Internazionale d’Arte di Venezia nella particolare idea di Vittorio Sgarbi del 2011 per l’Unità d’Italia. Però, tengo a sottolineare anche un mio grande amore, quello di curare, di tanto in tanto, senza la minima ambizione di diventare, né un curatore e né un critico d’arte, qualche particolare evento d’arte, sempre a carattere nazionale, in cui ho invitato alcuni trai più importanti artisti, non solo nazionali, ma anche internazionali. Trattasi di mostre legate a problematiche territoriali del nostro paese a cominciare nel 2001 da “Una Luce per Sarno” in Campania, mostra sul dissesto idrogeologico sulle frane del 1998. Nel 2003 poi “Fuori dall’acqua” ad Amantea in Calabria, una mostra sul mito dell’acqua e del patrimonio sommerso intorno a “Temesa”, l’antica Amantea, come segnalato anche nel libro terzo dell’Eneide di Virgilio; e nel 2004 ad Atessa in Abruzzo “Tensioni e riflessi del Sangro”, una mostra dedicata allo scultore Giò Pomodoro, subito dopo la sua scomparsa e al mitico Fiume Sangro. Tutte mostre oggi raccolte e ubicate in modo permanente in importanti strutture pubbliche delle rispettive città.

D – L’Italia è sorgiva per gli artisti dei vari segmenti? Le Marche, l’Abruzzo, la Campania, il Sud, la “vetrina ombelicale” milanese cosa offrono adesso?

R – Oggi purtroppo con il dominio assoluto del nuovo e discutibile “Sistema dell’Arte Contemporanea” l’Italia non è più sorgiva come un tempo. Infatti, non esistono quasi più i tanti premi che fino a qualche anno fa erano un po’ il fiore all’occhiello delle regioni da te citate. Per cui, molti artisti anche di qualità restano fuori dai grandi circuiti, dal momento che il citato “Sistema” favorisce sempre e solo gli stessi artisti, anche se molti di questi spesso non sembrano particolarmente dotati, ma, molto addentrati nel sistema. E poi, sia Milano che la stessa Roma sembrano abbiano smarrito quella curiosità culturale e propositiva di qualche anno fa.  Vivacità che, invece, negli ultimi anni pare abbia recuperato un po’ Napoli con le proposte dei suoi vari musei e gallerie contemporanee molto vivaci e stimolanti.

D – Pensi di avere una visibilità congrua o soddisfacente?

R – Che dire, la visibilità, quella ad alto raggio te la dà solo il “Sistema“ di cui ti parlavo. Un meccanismo capace di costruire artisti dal nulla a tavolino, spesso dettando loro anche il tipo di arte da proporre sul mercato anche internazionale. Cosa questa da cui mi dissocio, sentendomi un artista che guarda sempre alla mia cifra espressiva e a produrre un’arte capace di emozionarmi ed emozionare, simultaneamente, anche il pubblico. Almeno ci tento. Tutte cose che oggi non sembrano interessare la nuova curatela.

D – Quanti “addetti ai lavori” ti seguono?

R – Ho un buon rapporto di rispetto e stima con scrittori, intellettuali e critici ed è quanto mi basta. Però, mi piacerebbe che oggi l’arte recuperasse quel vecchio rapporto tra artisti e scrittori di qualità, quando questi esprimevano una loro libera e personale lettura delle opere. Una volta questo rapporto era chiamato “Repubblica dei creativi”, quando artisti e intellettuali, soprattutto scrittori, dialogavano in modo libero e creativo, in una sorta di isola dell’immaginario. Senza linee dettate da un perfido sistema e mercato dell’arte o arte del mercato?

D – Quali linee operative pensi di tracciare nell’immediato futuro?

R – La mia linea operativa resta sempre la stessa. Essendo l’arte un fondamentale mezzo di conoscenza del mondo e di ciò che accade in esso nel tempo. Una ricerca operativa la mia, che come sempre cercherà di essere una spia rossa, sempre viva, per capire le evoluzioni o le “involuzioni” dell’uomo insieme alla natura. Per capire e far capire al pubblico in che direzione ci muoviamo.

D – Pensi che sia difficile riuscire a penetrare le frontiere dell’arte? Quanti, secondo te, riescono a saper “leggere” l’arte contemporanea e a districarsi tra le “mistificazioni” e le “provocazioni”?

R – Penetrare l’occulto dell’arte certamente non è cosa facile, specie a partire dall’arte tra fine ‘800, ‘900 e, soprattutto, in questo inizio di terzo millennio. Infatti, il non “addetto ai lavori”, in tutto ciò, incontra non poche difficoltà di lettura, che potrebbe colmare solo studiando un po’ quello che è accaduto dall’impressionismo in poi attraverso le avanguardie, e, soprattutto, le attuali nuove tendenze. Fino a quando un cortocircuito ha contribuito a spiazzare un po’ tutti. Infatti, è innegabile che con questa sorta di linguaggio “global” è soprattutto il pubblico dei non “addetti ai lavori”, a trovarsi in difficoltà. E, poi, specialmente, i giovani curatori farebbero bene a collegare, nei loro spesso illeggibili testi, la storia dell’arte passata a quella di oggi.  Senza conoscenza e collegamento tra arte del passato e questa contemporanea non si comprenderà mai il rinnovamento in atto.

D – I “social” t’appoggiano, ne fai uso quotidiano o settimanale?

R – I “social” se utilizzati con intelligenza e non in modo banale sono dei mezzi di contatto straordinari per l’attività svolta. Io, generalmente li utilizzo per il mio lavoro più o meno costantemente.

D – Con chi ti farebbe piacere collaborare tra critico, artista, art-promoter per metter su una mostra o una rassegna estesa di artisti collimanti con la tua ultima produzione?

R – A me farebbe piacere creare un rapporto con critici, intellettuali e promotori intelligenti, non schierati o facenti parte del cosiddetto “Sistema”. Guardo a quei curatori e promoter attratti, essenzialmente, da una produzione seria e impegnata dell’arte. Senza correre dietro a mode o a “trovate” che lasciano il tempo che trovano, senza un segno emozionale, dal momento che sono un costruttore di sogni e guardo alla sintassi dell’arte. E per fortuna di questi ne incontro ancora! Ma, oggi, sta cambiando tutto velocemente: prima lo storico dell’arte, poi il curatore o promoter, poi lo stesso artista che diventa anche curatore di se stesso o di altri artisti: vedi Vezzoli, Kiefer e altri chiamati, addirittura, anche a curare mostre come Documenta 2022.

D – Perché il pubblico dovrebbe ricordarsi dei tuoi impegni artistici?

R – No, il pubblico nella maniera più assoluta non è tenuto a ricordarsi di me, di un artista. Se questo, poi, accade, sarà perché l’artista con il suo particolare e intelligente lavoro è riuscito in una impresa, restando nella memoria di chi ne è stato attratto. E questo se accade è una cosa straordinaria.

D – Pensi che sia giusto avvicinare i giovani e presentare l’arte in ambito scolastico, accademico, universitario e con quali metodi educativi esemplari?

R – Giustissimo, è quello che bisogna fare. La nostra scuola e mi riferisco a quella italiana è vecchia e molto carente nell’attenzione all’arte, specie a quella contemporanea. E questo, in un paese come il nostro, che ha costruito nei secoli la sua bellezza proprio sull’importante patrimonio artistico che possediamo, non va bene. Per questo, sarebbe fondamentale partire dalla scuola, anche quella universitaria, per avvicinare i giovani alla conoscenza del Contemporaneo. Ma attenzione. Dal mondo classico si dovrebbe solo partire, per, poi, approdare a una nuova “didattica” dell’arte a 360° che guarda, soprattutto, alle nuove tecnologie: fotografia, video-art e installazioni per acquisire una moderna visione dell’arte anche e soprattutto digitale. Una rinnovata visione dell’arte che punti a costruire una nuova “Galassia Visiva“. Una costellazione unica in cui concorrono, simultaneamente, tutti questi nuovi linguaggi tecnologici. Ora, non ha più senso una scuola ferma sull’arte del passato. Se questa non guarda al futuro con rinnovati metodi sarà una scuola ferma e riflessa su se stessa, quindi obsoleta. Senza proporre didattiche artistiche alternative non ci sarà futuro.

D – Prossime mosse, a Salerno, Perugia, Milano, Roma, Londra, Parigi, NY ...?

R – Appena ritorneremo alla sperata normalità dovrò presentare a Cracovia il mio omaggio a Matera mostra del resto già programmata e bloccata nel 2020 dal Covid. Poi, verranno altre mostre ancora da definire, sia in ambito nazionale che europeo.

D – Che futuro si prevede nel post-Covid-19?

R – Sicuramente, un futuro non facile, specie per l’arte, che da sempre non ha avuto vita facile. Penso che con il Covid-19 tutto sarà un po’ più difficile, sia per le ristrettezze economiche sempre più severe, sia per le difficoltà sanitarie che renderanno la vita dell’arte e della partecipazione sociale alla vita dell’arte sempre più problematica. Ma non dobbiamo mollare, mai.

 

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