“L’antro ed altre storie” di Davide Tricarico
Per i tipi di Kairos Edizioni, una raccolta di racconti che attraversa la sottile linea di confine tra l’amore e il dolore.
Di Viola Verne
L’amore
è un sentimento indefinibile. Chi ne viene preso, per quanto ricco il suo
vocabolario, non riuscirà mai a trovare parole per descriverlo, tutte gli
sembreranno povere. È talmente intenso che può offrire felicità mai raggiunte
come dolori profondissimi.
Cinque
episodi e un filo conduttore che tiene insieme la trama di ognuno: la
solitudine e ciò che lascia un affetto perduto.
“Questo libro è una sorta di condivisione del dolore”, spiega l’autore, “il dolore che si prova di fronte all’irreparabilità di un amore perduto”.
Davide, cosa l’ha
spinta a scrivere questi racconti?
Un episodio trasmesso in TV dove un signore in là con gli
anni imboccava una altrettanto anziana signora, poi seppi sua moglie, che non
sembrava avere più alcuna capacità vitale (Alzheimer? Non so) e mentre
l’imboccava le chiedeva con dolcezza se le piacesse quel cibo. Un amico
presente gli fece notare che ormai quella donna non sapeva più neanche chi lui
fosse, ma la risposta chiara e definitiva a quella domanda fu: “ma io so chi è
lei”. Era la tragica solitudine di un amore”
Cosa vuol trasmettere a
chi legge?
Ciascuno potrebbe dire qualcosa di diverso e di simile sulle
conseguenze che può suscitare un evento tragico della nostra vita e soprattutto
indicarci, se c’è, una via per trovare le energie necessarie a sopportare
esperienze uniche nella loro sofferenza.
Cinque episodi. C’è un
filo conduttore che tiene insieme la trama di ognuno?
La solitudine. Non
rimpianti, eventuali rammarichi o sentimenti di delusione, ma soltanto una
immensa solitudine, condizione questa che ha bisogno di tanto, tantissimo tempo
per essere colmata e comunque un sapore amaro è lo strascico inevitabile che ci
accompagnerà per la vita.
Qual è l’amore di cui
lei scrive nel libro?
Quello perduto. Per motivi diversi, ma tutti e cinque ci
narrano storie nelle quali si perde l’oggetto dell’amore e di conseguenza si
spegne quella luce, quella forte, intensa che ci accompagnava nella vita e di
cui a volte non ne eravamo neanche consapevoli. Una volta spenta quella luce, ci
si rende conto di quanto eravamo dipendenti da quell’affetto, da quel calore.
Quale il dolore
profondissimo a cui si allude nella quarta di copertina?
Quello stato d’animo che si avverte quando si smarriscono le
coordinate della propria esistenza. E ciò avviene quando la nostra vita
affettiva, che si nutriva voracemente dell’oggetto di quell’amore, nel perderlo
all’improvviso, si avvolge in una cappa nera.
In quest’epoca in cui
tutti scrivono e pochi leggono, quanto coraggio bisogna avere per pubblicare un
libro?
Alcuno, direi. Per quel che mi riguarda, semplicemente un’incoercibile
voglia di mettere su carta alcune considerazioni su certi momenti tragici della
vita che mi frullavano in mente da un po’ di tempo, quasi volessi liberarmene.
Sarebbero rimaste nel cassetto come tante altre cose che ho scritto se alcuni
amici dopo averne letto le bozze non mi avessero spinto a pubblicarle.
Egoismo,
presenzialismo, superficialità, egocentrismo, accentramento dei propri bisogni.
Questi i valori primari dei giorni nostri. Verso quale letteratura dovremmo
spingere i giovani perché possano educarsi ad una vita fatta di altruismo,
attenzione, onestà intellettuale?
Non so se oggi si può
parlare di una letteratura attuale e comunque, se c’è, non è verso quella che
indirizzerei i nostri giovani, piuttosto suggerirei che nelle scuole
s’invogliassero gli studenti alla lettura di classici sempre intramontabili
come Dostoevskij, Tolstoj, Leopardi e tanti altri ma anche la indimenticabile
letteratura della beat generation e non ultimo i meravigliosi romanzi di
Marquez. Insomma, che leggessero e facessero i riassunti di ciò che leggono. Si
allontanassero soprattutto, per qualche ora, da quelle maledette macchinette (i-pod,
i-pad, telefonini ecc…) Ma di questo dubito fortemente. In una società che
pensa soprattutto al profitto e poco se ne frega dei giovani, fermo restando
che consumino e molto, non vedo un futuro roseo per le nostre giovani
generazioni.
“Il
raggiungimento immediato della felicità è il contenuto indiscusso dell’unico
imperativo categorico davvero in vigore nella nostra epoca, propagato
capillarmente da una pubblicità invadente e perentoria. Quest’ultima fa
assurgere il consumo a rimedio esclusivo ai disagi, alle insicurezze ed alle
insoddisfazioni che essa stessa diffonde”.
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